Luigi Armando Ferrario
Frammenti biografici
Nel 1965 gioco sul terrazzo della mia casa di Mathi Canavese (Torino). Una fetta di pane e zucchero ed era festa!

Nasco a Mathi Canavese il 15 agosto 1962
Il 15 agosto 1962 doveva esserci una configurazione astrale del tutto originale.
La costellazione del Leone cresceva nel firmamento con la forza e la fierezza che gli appartengono, mentre il carro, l'orsa e la polvere cosmica sbriciolata dal passaggio di un sasso siderale, si andavano depositando sul comodino dal vetro di opalina azzurrina, di una calda camera da letto - stile "impero" - di un'antica villa padronale nel piccolo paese di Mathi: 46°16'0''N e 7°32'0''E; 410 metri sul livello del mare.
Nascere a casa, la propria, l'aveva sempre considerato un privilegio quasi "regale" a dispetto della media dei suoi familiari ed amici e soprattutto delle preoccupazioni e dell'assistenza che l'austero Ospedale di Cuorgnè avrebbe invece garantito alla compianta madre partoriente.
Lei, la madre, si trovava in preda ai dolori e ai sudori di un secondo travaglio, agostano; i lamenti e gli umori impregnavano trama e ordito delle lenzuola di un cotone purissimo, rigorosamente bianco come la coltre di neve che, dagli inizi di novembre, impolverava le Valli di Lanzo per poi giungere fin giù, nella bassa, a rendere, a dicembre e gennaio, presepi, le città di Ciriè e Torino.
Odore e luce furono gli imprinting che ricevette "uscendo" di testa ed imbrattando di sangue la "coltre di neve" in quella domenica agostana. Oltre all'eco dell'ultimo sforzo espulsivo uterino materno, udì: "L'è nat !", "L'è un bel fieù !".

A sei anni con la mamma e la sorella a Champoluc Val d'Ayas. Il papà impegnato a scattare la foto.
Da: "I Rattvulan - anche i pipistrelli imparano a sciare"
Ormai i giorni trascorrevano felici, infilati uno dietro l'altro come i grani del rosario.
Raccontavano le storie delle prime scorribande in montagna con la mitica, delle passeggiate tra i boschi di betulle intorno a Ceres, delle lame di ghiaccio che colavano come stalattiti dalle tettoie sugli orti e dei cancelli e che venivano sistematicamente spezzate in un gioco insensato ma trovato dai bimbi assai divertente.
Così, dopo la festa del Natale e quella dell'Epifania con i suoi cubetti di zucchero nero posti nella calza sopra la cappa della cucina, ci si addentrava nell'inverno più rigido conosciuto dal bocia nel paese che volge a mattino.
In quei giorni da tundra, dove anche l'infilare la chiave nella toppa della serratura era un problema a causa del ghiaccio, la luce solare era molto poca.
Già intorno alle tre del pomeriggio, la Via Nova sembrava avvolta in un doppio strato di cellofan; qualche comignolo lasciava nell'aria un filamento grigiastro che, nel contrasto con la luce radente del sole assumeva una sfumatura arancione.
Le strade del paese deserte, i compaesani, rintanati nelle cascine, curavano solo le stalle, dispensando alle povere bestie appaiate l'un l'altra per cercare calore tra loro, fieno e biada laboriosamente accumulate in estate.
Solo il latrato di qualche cane randagio rompeva il silenzio disarmante che avvolgeva il paese. La fame, gli stenti e l'assenza anche di una sola carezza amica, erano impressi i quei sinistri lamenti che fendevano l'aria e le orecchie.

L'adolescenza e le montagne laziali: Aurunci - Ausoni - Ernici -Lepini - Volsgi, vere rarità geografiche e appenniniche.

Da : "...Namasté..." Saluto Dio che risplende nel tuo volto.
A Collepardo il campanile maggiore indicava solo i minuti così, per sapere esattamente l'ora del giorno, gli abitanti del borgo dovevano combinare l'azione di due sensi: l'ascolto dei rintocchi delle campane e lo sguardo verso il quadrante maggiore.
Per la notte era sufficiente il rintocco delle ore.
Angelomaria era un omone simpatico, uno "sherpa" nostrano abituato a percorrere in lungo e in largo i boschi e le radure degli Ernici. Qualche volta, da giovane, era andato anche oltre la piana del Fiume Cosa su, verso la corona dei Lepini e da lì, ancora più in alto, fino al monte Cacume.
2016 Plan Maison - Cervinia

Il Servitore del Cielo © Luigi Armando Ferrario
Lo spirito dell'esploratore è dentro ciascuno di noi. Nasciamo esploratori, è la nostra condizione naturale. Dice Budda: "Non puoi percorrere un cammino prima di diventare parte di esso", così, far diventare parte di noi stessi ciò che non conosciamo è l'unico modo per affrontarlo.
Dai picchi perennemente innevati della Valsavarenche alle lande inesplorate dell'Antartico, si snoda così l'avventuroso cammino di una giovane e ambiziosa Guida Alpina valdostana - Pierre Joseph Dayné -.
Dopo aver scalato con determinazione e successo gran parte dell'orografia locale, assicurandosi anche qualche "prima" assoluta, l'ambizioso valdostano fece di tutto per poter partecipare all'esplorazione Antartica guidata da Jean Baptiste Charcot a cavallo tra il 1903 e il 1905. Quello che ne è seguito è stato un "cammino" ai confini dell'esperienza umana. Il suo rientro in Valle, nell'estate del 1905, segna l'avvio di una nuova vita, dove la parola "impossibile" perde il suo significato e l'uomo, con sempre maggiore entusiasmo, diviene un "Servitore del Cielo".